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Un Vaffanbagno, a volte, è meglio di tanti Ti voglio bene

Quante volte abbiamo stretto i denti talmente forte da credere di romperli e, anzichè esplodere in un urlo mostruoso, abbiamo mostrato un sorriso a 32 denti?
Certo.
Forzato, stretto, al limite dell’ipocrisia, ma l’abbiamo fatto.
Ecco, questo capita quando a prevalere sulle situazioni è l’educazione, il contegno, le regole sociali o una serie di contesti e situazioni che portano a dire o fare cose diametralmente opposte alla nostra volontà.
Nel nostro io s’innesca una lotta, il corpo fa cose che la mente non vuole.
Ma perchè ciò avviene realmente?
Voglia di non deludere il nostro interlocutore che, solitamente, coincide con le persone a noi vicine: parenti, amanti, fidanzati, capi; oppure, semplice paura di mettersi a nudo?
Forse entrambe le cose.
Allora come trovare una soluzione a questo stato confusionale? Come abolire destabilizzazione, ansia, pressione e insoddisfazione?
Sicuramente un primo passaggio potrebbe essere l’analisi di se stessi cercando di capire, se non cosa si vuole, almeno ciò che non si desidera. Cominciamo proprio da questo.
Spesso chi ci circonda succhia la nostra energia, ruba i sorrisi, la voglia di sognare. Buttiamolo fuori dalla nostra strada.
Togliamo l’inutile e il superfluo, introducendo piano piano il fondamentale.
Basta essere forzatamente degli “Yes Man/Woman” perché a lungo andare chi vive al nostro fianco non penserà che la nostra accondiscendenza è dettata dalla gentilezza, ma dell’essere fessi! Quindi, ogni tanto, quando la cinghia stringe troppo o capiamo che un vestito non è più della nostra misura, non succhiamo per forza la pancia. Impariamo a stare comodi perché, in fondo, un Vaffanculo ben assestato è meglio di cento Ti Voglio bene. Amiamo noi stessi, impareremo  a convivere meglio con gli altri.
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Commenti

Una risposta

  1. Si chiama carattere.
    Si chiamano palle.
    Il risultato paga, in ogni caso.
    E’ l’anticonformismo della coscienza che genera energia, il vero mix di razionalità e passione.
    Così, mentre da un lato vorresti avere l’abilità del camaleonte per adattarti a tutto quello che ti circonda, dall’altro il tuo “io” scalpita e pretende di emergere, non fosse altro che per giocare ad armi pari con il tuo antagonista/interlocutore… e qui non sono d’accordo sul generalizzare in merito alla tipologia dei destinatari del “vai a quel paese”.
    Perchè, mentre nel sociale la soglia di sopportazione di ognuno di noi si scontra con la voglia di sopraffazione degli altri (più o meno arrivisti, ruffiani, opportunisti), se scendiamo nel personale ogni valutazione si ammanta dell’irrazionale che ti lega alle persone che ami.
    Intanto si è portati a giustificare, in nome del sentimento, quei torti che meriterebbero la repulsione più fattiva e concreta ma che, difficilmente, chi ti vuole bene, saprà procurarti e, se lo fà, è quasi sempre in buona fede.
    Perciò la tensione si smorza, fosse solo perchè siamo più disposti a “filtrare” le emozioni attraverso il sentimento.
    Poi, alle volte e previo una lucida consapevolezza di sè ed una profonda introspezione, al posto del “vai a quel paese”, c’è chi fa di più… raccoglie il coraggio, tacita l’orgoglio e, facendo appello a tutta la propria dignità, fa un passo indietro… ti dà spazio, finchè non comprendi (o nella speranza che tu comprenda) che quello stesso spazio è un vuoto che riempivi con l’altro, fosse sorella, amica, amante, compagna, e fosse affetto, stima, amicizia, amore, il sentimento che correva tra voi… fatto un passo indietro del “vai a quel paese” è rimasto un flebile, impercettibile eco, perchè non serviva, o meglio, non era necessario servirsene per far riflettere l’altro e, men che meno, per affrancarsi dall’altro.
    Se ti comporti così hai sortito due effetti: hai allontanato lo spettro della superficialità dal rapporto ed hai costretto il tuo interlocutore a confrontarsi con se stesso e con quello che prova.
    Ci vuole coraggio, un pò più di quello che serve a dire “Basta!”… l’amor proprio, ogni tanto, mettiamolo da parte e ricordiamoci di quante volte avremmo voluto una seconda opportunità, perchè la vita è interazione, intreccio, magiche sinapsi che si attivano solo se vengono in contatto.

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