“Ho capito che ogni centimetro che riescono a occupare sul barcone è un centimetro di libertà, pagato non solo con denaro, tanto denaro, ma soprattutto con sacrifici, umiliazioni, sofferenza, violenze, paura. Sanno che rischiano la vita, molti non hanno mai visto il mare, pochissimi sanno nuotare, ma preferiscono avere una speranza piuttosto che convivere col terrore di saltare in area su una mina o straziati da un machete”.
A parlare Alfredo Lo Piero, autore, regista e produttore di “La libertà non può morire in mare”, un docufilm a tinte forti sull’orrore della migrazione dalle coste africane a quelle siciliane.
“Quello che vediamo in televisione non è nulla rispetto alla realtà atroce con la quale ci si confronta a Lampedusa in ogni istante: è un’isola circondata da un mare di morte. Conosco chi non riesce più a fare il bagno perché emotivamente ferito, altri che finito il loro turno tolgono la divisa e tornano al largo da volontari per cercare di salvare altre vite umane e vivono anche la scelta spesso inevitabile di dover decidere tra tante braccia protese chi salvare subito col rischio di condannare a morte qualcun’altro”.
Catanese, fondatore della Scuola di cinema a Catania, Alfredo Lo Piero, dopo diverse esperienze cinematografiche si cimenta in questo lungometraggio che è un vero e proprio film di denuncia.
“Ho sentito storie che mi hanno profondamente segnato: le sofferenze dei migranti sono indescrivibili, spesso il loro viaggio dura mesi perché prima di attraversare il deserto d’acqua devono superare quello di sabbia in condizioni di invivibilità. E poi arrivati nei centri da dove partono barche e gommoni alcuni, quelli delle etnie più povere, vengono torturati e uccisi per dare un segnale a coloro che, invece, possono spendere di più per avere un posto all’aperto, non nella stiva dove possono morire schiacciati o soffocati, come spesso è avvenuto”.
Nel docufilm non c’è finzione, ma solo realtà esaltata dal direttore della fotografia Giuseppe Bennica, e dal promettente assistente operatore, Giovanni Romolo Flaccomio, immagini che saranno poi affidate al montatore Claudio Cutrì, premio David di Donatello, che ha già lavorato al pluripremiato “La mia Africa”.
Il docufilm sarà pronto nei primi mesi del 2017, in tempo per poter partecipare ad alcuni concorsi internazionali e nazionali con un obiettivo: non vincere, ma scuotere le coscienze e far vedere, senza romanzare e filtrare nulla, cos’è realmente il dramma della migrazione”.