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La ragazza del treno, un thriller al femminile

Ed ecco una new entri. Si chiama Regina e credo che non potrebbe esserci nome migliore per la sua persona. Ama la lettura, le parole, la scrittura. E’ enigmatica, riflessiva, bella e Bigodini a Colazione (ovvero Io) è felice di avere alcuni suoi contributi per delle recensioni su libri, video e musica. Per questa prima uscita, agganciamo due generi, considerato che il libro “La ragazza del treno” è uscito lo scorso mese sul grande schermo. Adesso, vi lascio a Regina. Buona lettura.

Sono trascorse da poco le ventitré.

Maia, la mia gatta, sonnecchia sulla finestra, le piace dormire sul ritmo della tastiera.

Spero che la vostra giornata sia stata come la mia, senza sorprese indesiderate.

Sono qui per raccontarvi di un autore.

Raccontare è un verbo che mi piace, non ha pretese, non impone, invita ad ascoltare se se ne ha voglia.

È come un libro.

Se ne sta lì e aspetta di essere aperto, per rendere possibile il saltare da una vita a un’altra nell’arco di una sola esistenza, accendere la voglia di visitare luoghi in cui non siamo mai stati. Luoghi lontani o sotto il balcone di casa, nello sguardo di un vicino o in noi stessi.

Così è stato per La ragazza del treno, un regalo rimasto sulla mia scrivania per parecchie settimane e aperto in un piovoso week-end. Perché ogni libro ha tempi e atmosfere proprie, e il romanzo della Hawkins, con le sue grigie atmosfere dell’hinterland londinese, è perfetto per un divano e un pile avvolgente.

Paula Hawkins è una giornalista inglese che per molti anni si è occupata di questioni finanziarie.

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La ragazza del treno è il suo quinto romanzo e trae ispirazione da un’esperienza abbastanza comune. Dice la Hawkins:

“…noi pendolari siamo uguali dappertutto. Prendiamo posto sullo stesso treno ogni mattina e ogni sera… osserviamo pigramente dal finestrino… e talvolta cogliamo un attimo della vita di perfetti sconosciuti. E allora allunghiamo un po’ il collo per vedere meglio… la solitudine e l’isolamento fanno spesso parte della vita della città, ma anche dei viaggi quotidiani dei pendolari…”

Questi i presupposti per un thriller declinato al femminile e senza condanne o assoluzioni.

“Non sono interessata all’atto di violenza in sé” dichiara l’autrice in un’intervista “quanto piuttosto alla psicologia della violenza e a come si arriva fin lì”.

L’autrice sceglie di raccontare con l’uso della prima persona. Scelta coraggiosa quando non si affronta un’autobiografia, giacché è sempre in agguato il rischio che l’autore si fonda con l’io narrante. La Hawkins ha moltiplicato questo rischio, poiché la prima persona non è solo della protagonista, ma si espande a tre figure femminili.

A evitare la confusione su ogni identità interviene tuttavia il taglio dei capitoli, costruiti come si trattasse di un diario a più voci. Voci femminili, dove però è assente la Donna Portatrice di Bene per diritto di genere. Sono presenti invece donne, ognuna definita nella precarietà delle buche su cui ha inciampato o sta per inciampare: Anna, Megan e soprattutto Rachel, la voce solista delineata nella prefazione:

…La vita di Rachel non è di quelle che vorresti spiare. Vive sola, non ha amici, e ogni mattina prende lo stesso treno, che la porta dalla periferia di Londra al suo grigio lavoro in città. Quel viaggio sempre uguale è il momento preferito della sua giornata…

E per riempire il vuoto in cui è sprofondata per una “disattenzione elettronica”, Rachel osserva dal treno in maniera compulsiva, come in maniera compulsiva annega il vuoto nell’alcolismo. Attraverso il finestrino compone e scompone vite. Quelle di chi sente come i rapinatori della propria vita.

…La mia casa si trova lungo i binari: è la villetta di cui un tempo ero proprietaria… ogni giorno mi impongo di non guardarla e ogni giorno faccio l’esatto contrario… Ricordo bene… come mi sono sentita quando ho visto Anna annaffiare le rose...

E le vite di una coppia sconosciuta che lei modella sulla propria perduta.

…Mi sono accorta di loro da circa un anno… sono diventati importanti per me. Non conosco i loro veri nomi, me li sono inventati. Ho scelto Jason perché lui è bello… Jess suona bene con Jason… è perfetto per lei, così graziosa e sbarazzina… sono felici. Sono come eravamo noi, come me e Tom, cinque anni fa. Loro sono ciò che io ho perso. E tutto quello che voglio essere…

Un giorno tuttavia il castello di carte le cade addosso.

…mi sono conficcata le unghie nel palmo della mano… non ho mai capito come certe persone possano essere tanto noncuranti del male che rischiano di fare agli altri seguendo il proprio cuore. Chi ha detto che seguire il proprio cuore è un bene? È narcisismo puro, un atteggiamento egoista, tipico del predatore senza scrupoli… se incontrassi quella donna, se incontrassi Jess, le caverei gli occhi…

Un particolare banale, ma per lei scioccante, diviene l’elastico che la riporta indietro, alla “disattenzione elettronica”, e spingendola a invadere la vita degli sconosciuti, la precipita nel terrore di essere colpevole per qualcosa che non ricorda.

…È successo qualcosa, qualcosa di brutto. C’è stata una lite, qualcuno urlava. Pugni? Non lo so, non me lo ricordo… arriva come un’onda nera, terrore puro. È successo qualcosa… lo sento…

A voi, se sono riuscita a incuriosirvi, svelare il vero e il falso di bugie che sembrano verità, ma che a volte, forse, vorremmo restassero verità.

…penso a come erano, a come credevo che fossero, vedendoli dal treno, e mi sento privata di qualcosa… un giorno smetterò di avere gli incubi e di rivivere quella scena nella mia mente…

Alla prossima

 

 

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