“Il Signore sorride quando noi facciamo progetti per il futuro”, dice così un antico proverbio ucraino. La saggezza – vedete – non ha latitudini né tempo.
Ne vogliamo parlare? Del futuro, dico. Di cosa parliamo esattamente quando parliamo di futuro? Ma, soprattutto, siamo nel pieno delle nostre facoltà mentali quando ci inerpichiamo per certi sentieri accidentati (magari con l’outfit sbagliato)? Ora, non è il caso di scomodare quei filosofi che ce la sapevano parecchio, e ci spiegavano che siamo davvero di coccio a smerigliarci le palle elucubrando sul tempo che non ci appartiene, tipo il passato (è andato. Finito), e il futuro (ha da venire, forse). Ma è un’inclinazione, la nostra, quella di sbattere le corna su roba che esula dalla nostra costituzione fisica, la vogliamo chiamare così?
Eppure lo facciamo continuamente, anche con alcuni avverbi: sempre e mai (per esempio). È buffo, vero? Roba da ridere fino alle lacrime… e nel frattempo (mentre diamo di corna contro il vuoto) ci perdiamo e snobbiamo l’unico tempo che abbiamo: il presente. Adesso.
Ora. Non sarà, dico io, che anche per questo darci dentro di brutto coi tempi, poi ci piglia una botta di mala e una di ansia? Ora, non dico che non bisogna fare progetti futuri (specie in questo nostro tempo in cui ogni cosa è un planning); non dico che bisogna vivere allo stato brado, come se non ci fosse un domani, perché un domani c’è, lo sappiamo: domani il sole sorgerà ancora, la gazzella – in Africa – dovrà darsi una mossa se non vuole far da colazione al leone… domani noi ci alzeremo senza preoccuparci di leoni affamati, e ci alzeremo anche domani l’altro e l’altro ancora. È una certezza, giusto? Ci sarà tempo. Domani arriva di sicuro; è un po’ meno sicuro che arriviamo anche noi col domani, ma sono dettagli, questi. Quello che intendo è che magari potremmo non allungarci troppo nel futuro, ma giusto per accorciare l’ansia varia ed eventuale, mica per altro. Magari non stiamocene troppo a pensare alle vacanze dell’estate prossima, al concerto di capodanno a Vienna del 2019 (alcuni hanno prenotato adesso), perché – non voglio gufare – ma può succedere che la terra tremi, che un vulcano si sgranchisca le giunture, un pazzo si faccia saltare in aria bestemmiando, ci sia la crisi del governo della crisi del governo, arrivi un alieno inferocito… o può essere pure che nel 2019 non ci vada più di andare a Vienna a battere le mani sulla Marcia di Radetzky, ma si preferisca un prosecco ai tropici e ballare Limbo rock sulla spiaggia. Non è per irritarvi, lo giuro. È giusto una considerazione, un invito a fare un passo alla volta, a vivere un giorno alla volta, perché – comunque – per andare verso il futuro bisogna fare un passo alla volta, come per ogni viaggio. Non facciamo come quelli che “se morissi domani farei…” e giù di elenchi: dalla granita con l’amica che non si vede da due secoli al volo col paracadute, passando per il bacio a quel tipo bellino che vediamo sul tram ogni mattina. Facciamolo ora. Può sembrare un’esasperazione dei concetti, o un’esasperazione e basta, ma voi pensateci, a ora. Ha un bel suono, è di sole due sillabe, come un sacco di parole belle che hanno un significato largo (cielo, mare…). Io direi di fare che noi ora. Direi, facciamo presente.
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